«Non esiste altro mondo fuorché il mondo spirituale. Quello che noi chiamiamo mondo sensibile è il Male nel mondo spirituale.» |
Quando Mosè, il grande iniziato ebreo, scese dal monte Sinai con le sue enigmatiche tavole, forse esitò nel mostrarle al suo popolo. Da una parte v’era il sospetto che esso potesse fraintenderle; dall’altra egli era consapevole del fatto che senza un’ulteriore spiegazione era pressoché impossibile decidere a cosa alludessero con quei precetti apparentemente così chiari e – in tutti i sensi – lapidari. Dunque l’insegnamento segreto di Mosè, di colui che aveva conosciuto l’Egitto da padrone ed ora Israele da profeta e fondatore, fu trasmesso da lui ai settanta anziani ebrei affinché essi lo tramandassero di generazione in generazione. Qabbalah (è questa la traslitterazione più corretta dall’ebraico) significa semplicemente “tradizione”, ma si presume la tradizione per antonomasia, la tradizione di vera conoscenza che, per via orale, è giunta fino agli ebrei contemporanei. Tutti sanno che le tradizioni, per quanto protette da vari e a volte ingegnosi riti, inesorabilmente cambiano. O, peggio, si deteriorano, fino a tradire il messaggio originario. Ora, è sempre arduo investigare le volontà altrui, specialmente se tali volontà si ritengono occulte o comunque destinate a pochi. Il paradosso di ogni disciplina esoterica si rivela in modo lampante nello studio della Qabbalah: più ci si concentra sulla lingua ebraica e sui suoi fonemi misteriosi, più il legame che esiste tra parola e parola, tra versetto e versetto, tra maestro e discepolo appare come un enigma irrisolto. Io non conosco la lingua ebraica, la lingua parlata – si favoleggia – dagli stessi angeli per la sua bellezza e per la sua capacità di evocare lo spirito; eppure, i pochi suoni che ho avuto la ventura di ascoltare mi richiamavano verità perdute, sepolte sotto la polvere del tempo. Insomma, Mosè avrebbe tenuto per sé e per pochi adepti le verità, o meglio le nozioni più importanti attraverso le quali interpretare il Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia, la Torah, il sapere essoterico), che anche i cristiani sono costretti a rileggere non senza un brivido metafisico. Molte infedeltà riguardano le traduzioni (come nel caso della celebre costola di Adamo, nel testo ebraico in realtà il cuore, o dell’altrettanto celebre mela del Genesi, mai nominata nell’originale, anche perché è più probabile che l’albero intoccabile fosse un fico), ma più numerose sono quelle che ci narrano del tentativo di scoprire il vero significato del mondo attraverso il linguaggio, quello stesso linguaggio con cui Adamo conosce le cose e gli esseri attorno a lui nominandoli per la prima volta. Il linguaggio ha un valore sacro che noi moderni abbiamo quasi del tutto perduto in quanto, invece di considerare la parola come evocativa, la consideriamo mero strumento dei nostri desideri o, peggio, della nostra brama di potere. |
1) KETER, Corona Eccelsa 2) CHOKHMAH, Sapienza 3) BINAH, Intelligenza 4) CHESED, Amore 5) DÎN, Giustizia (Giudizio severo) 6) RACHAMÎM, Pietà 7) NEZACH, Eternità 8) HÔD, Maestà 9) JESÔD, Fondamento 10) MALKÛTH, Regno. |
Nel simbolo dell’albero l’En-Sof rappresenta la linfa vitale e le radici, mentre le Sephirôt i rami. Ma l’uomo stesso diviene, anzi è un simbolo, per cui l’albero sefirotico si trasforma apparendo come testa, braccia, sesso e piedi dell’Adamo celeste, modello dell’Adamo terrestre. La stessa preghiera, per i cabalisti, assume un’importanza che va al di là della supplica o dell’inno: essa cioè diviene un tentativo di provocare le dieci Intelligenze che stanno a metà strada tra l’uomo e Dio. Mediante il nome del Creatore, la preg |
«L’anima senza corpo sarebbe dappertutto, ma in misura talmente ridotta che non potrebbe agire da nessuna parte; sarebbe perduta nell’infinito e assorbita e come annientata in Dio. Pensate ad una goccia d’acqua dolce racchiusa in una sfera e gettata in mare; finché la sfera non si rompe, la goccia d’acqua rimarrà della sua vera natura, ma se si rompe provate a cercare la goccia d’acqua in mare.» |
Un esempio di come le Sephirôt possano essere ancora vitali come simboli ci viene dal romanzo Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. I tre protagonisti, redattori editoriali della Garamond, finanziata da un istituto di psicologia, sono alla ricerca di quel cammino abbreviato di cui parlava Steiner: sia Jacopo Belbo, “spettatore intelligente” e pessimista dal sarcasmo melanconico, sia Casaubon, il narratore che si laurea in filosofia benché sia definito “barbaro” dai compagni per la sua incredulità, sia Diotallevi, devoto lui sì alla Qabbalah, ma sostanzialmente ateo, di un’indulgenza intellettuale che può apparire persino offensiva, tutti e tre i protagonisti sono coinvolti in una ricerca cabalistica incentrata sulle dieci Sephirôt, le quali si manifestano nei modi e nei tempi più diversi e sorprendenti, quasi che le fantasie degli gnostici del II secolo dopo Cristo o la storia dei Templari, quella dei Rosacroce o quella di qualsiasi gruppo esoterico abbia operato sulla terra, non fossero altro che diverse epifanie delle Idee divine. Il sincretismo è tipico dei cabalisti e in genere degli iniziati, ma Eco non fa che metterlo in ridicolo, così come la pretesa d’interpretare ogni simbolo come fosse un’illuminazione in miniatura. «Il problema – dice a un certo punto Casaubon – non è trovare relazioni occulte fra Debussy e i Templari. Lo fanno tutti. Il problema è trovare relazioni occulte, per esempio, tra la Cabbala e le candele dell’automobile.» Sempre per una sorta di sfida intellettuale e ironica, Belbo farà corrispondere infatti alle dieci Sephirôt le dieci articolazioni dell’automobile che compongono l’albero-motore (l’Amore, ad esempio, sarà la frizione e la Giustizia diventerà il cambio…). |
domenica 24 maggio 2020
La Qabbalah e i suoi simboli
Pubblicato da
Dark Legion
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